Quante volte vi siete trovati a sbirciare il vostro profilo Facebook mentre siete in ufficio? Ebbene, l'azienda può licenziare il dipendente perditempo che durante le ore di lavoro naviga sul social network. Sottrarre tempo e strumenti che devono essere rivolti all'azienda per scopi puramente personali, ricorda il portale 'laleggepertutti.it', come chattare o guardare le foto postate dagli amici, viola il patto di fiducia che lega il dipendente all'azienda. Nei casi più gravi, e se le ore spese su Facebook sono numerose, anche a seguito di richiami precedenti, il licenziamento è legittimo.
A metterlo nero su bianco è una sentenza della Cassazione di ieri che indica un possibile limite di accessi ai social network. Il datore di lavoro è autorizzato a controllare la cronologia della navigazione su internet e stamparla, senza per questo ledere la privacy del lavoratore, che non può opporsi. In questo modo non si può neanche ricorrere alle 'libertà' introdotte dal Jobs Act: il nuovo testo che regola il rapporto di lavoro fissa paletti più ampi all'imprenditore, che può controllare pc, smartphone e tablet di lavoro.
La sentenza della Cassazione parla chiaro: il licenziamento disciplinare per giusta causa a carico del dipendente che sta troppo tempo su Facebook, sottraendo ore di lavoro alle attività aziendali e utilizzando in modo improprio il suo strumento di lavoro è legittimo. Questa condotta è grave solo nel caso in cui il datore di lavoro riesca a dimostrare che il tempo trascorso sul social è stato elevato.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, la 'gravità' della violazione posta dal dipendente va valutata caso per caso, senza valutazioni in astratto. Valutazioni che spettano al giudice. Nel caso in analisi si era trattato di 6.000 accessi a internet per motivi privati in 18 mesi e di questi accessi, ben 4.500 erano stati effettuati solo su Facebook, una media di circa 16 accessi al giorno su tre ore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte, investigare nella cronologia dalla postazione per stampare i relativi risultati e dimostrare gli accessi indiscriminati non lede la privacy del dipendente. Non si tratta, in effetti, di un controllo a distanza dell'attività del lavoratore, vietato dallo Statuto dei lavoratori, poiché il controllo è rivolto solo a stanare condotte illecite e potenzialmente dannose per l'impresa.
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