Internet gratuito e senza padroni: il motto dei Partito dei Pirati italiani
Anche in Italia c’è il Partito dei Pirati, la formazione politica basata sulla libertà della Rete e dei suoi contenuti. Nato nel 2006, conta circa 250 iscritti - per lo più tecnici informatici - non è ancora riuscito a presentarsi a nessuna tornata elettorale, neanche alle storiche Europee del 2009 dove il Piratpartiet svedese ha ottenuto un seggio a Strasburgo.
Come gli altri cugini europei, la sezione italiana di questa internazionale anti-copyright, crede nella liberalizzazione della proprietà intellettuale, nell’accesso libero della Rete, confidando che il web risolverà un giorno i problemi delle democrazie del Vecchio Continente. Ma, nonostante la determinazione e il consenso sulle battaglie del movimento condiviso tra gli “addetti ai lavori” e nonostante il 9% ottenuto alle elezioni comunali di Berlino, in Italia il Partito dei Pirati sembra avere molte difficoltà ad affermarsi.
“Prima di tutto, voglio fare i complimenti ai tedeschi. Evidentemente sono più bravi di noi a trovare spazi - dichiara a Tgcom Athos Gualazzi, presidente del movimento, ex tecnico informatico del Ministero delle Finanze in pensione - qua in Italia è molto difficile, vista la situazione che viviamo”. In particolare Gualazzi si riferisce alla questione del digital divide e all’utilizzo della Rete che, a suo dire, è molto al di sotto delle potenzialità del Web: “Purtroppo, l’italiano medio non va in Rete per informarsi su temi seri. Lo fa, soprattutto, per il gossip.”
Nonostante un passato di collaborazione con il governo, i Pirati Italiani si dicono vicini a Beppe Grillo, pur non condividendone le forme di comunicazione. Gualazzi non nasconde neanche la vicinanza ad Anonymous, anche se il presidente non conferma che alcuni aderenti al movimento abbiano partecipato alle campagne del collettivo di hacker. Tuttavia, da Anonymous è stato mutuato il vezzo dell’anonimato. E’ vero che, sul sito ci sono contenuti assolutamente innocui. Tuttavia, i Pirati Italiani temono le condizioni della vita politica del Paese “diventino ancor più sfavorevoli” vietando la comunicazione libera in Rete.
Fonte: TGCOM
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