Lungo la riva di un fiume, a Kota Bharu, nel Kelantan, pezze di tessuto dai vivaci colori sono stese ad asciugare all'ardente sole della Malaysia sui prati o su apposite corde.L'aria tropicale è pervasa dall'odore di cera fusa e dal profumo di gelsomino.
Dentro capannoni di legno, degli uomini stampano disegni su stoffe stese sopra fusti di banano appiattiti: stanno facendo il Batik.
L'antica arte di tracciare disegni su un tessuto ricoperto di una sostanza idrorepellente, tingere la stoffa e quindi staccare la sostanza impermeabile per rivelare uno straordinario disegno, ha fatto molta strada.
Oggi in Malaysia ed in Indonesia, quasi ogni donna possiede un sarong dipinto a batik e a Hong Kong, a Formosa ed in altre parti dell'Asia, le ragazze portano tuniche, camicette e calzoni larghi con giacca, tutti stampati a Batik.
Gli uomini sfoggiano camicie in tessuto Batik.
La richiesta di questa stoffa in occidente, per abbigliamento e per arredamento, è tale che questa industria malese a carattere prettamente artigianale è impegnatissima ad evadere gli ordini per molti milioni di dollari malesi.
In Italia, oltre che in alcuni istituti d'arte, il batik si insegna da qualche tempo anche presso scuole private, come il Centro di ricerche Artigianali La Mezzacà di Oleggio Castello, in provincia di Novara.
Presso i colorifici più forniti è possibile acquistare il necessario per farlo da se.
Nessuno sa con certezza quando sia nata quest'arte. Forse venne introdotta a Giava fin dal VII secolo d.C.. Di sicuro si sa che nell'XI e XII secolo fu portata in occidente dagli olandesi.
Il Batik deve forse il suo nome da ambatik che tradotto è disegnare e scrivere.
A metà del XVII secolo gli artigiani di Giava trasformarono la tecnica dl batik in un arte raffinata con l'invenzione deltjanting, un piccolo serbatoio di rame contenente cera d'api e resina fluida che l'artista usa per tracciare i suoi disegni.
Presso tutte le corti soggiornavano artisti che facevano a gara nel creare i più bei sarong disegnati a batik, ed ogni famiglia aristocratica aveva i suoi motivi e colori particolari.
Il tempo ed il lavoro necessario a fare un bel Batik rendevano la stoffa così pregiata e costosa da essere alla portata di ben poche persone.
Nella seconda metà del secolo scorso furono inventati vari aggeggi per sostituire il tjanting, ma nessuno risultò efficace quanto il tjap, uno stampino di legno con lamelle metalliche.
Il Tjap permise per la prima volta di produrre batik in gran quantità.
Oggi la Malaysia, pari all'Indonesia, è uno dei centri più famosi per la creazione del batik.
Gli artigiani immergono i tjap in pentole piene di cera per lasciare sulla tela bianca un segno continuo; si tratta per lo più di artigiani che fanno questo delicato lavoro fin da ragazzi.
Dietro il reparto stampa, altri lavoranti immergevano la tela cosparsa di cera, di solito cambrì di cotone, in vasche di colorante giallo, rosso e blu.
Le linee grinzose tipiche del Batik si formano strizzando la stoffa per rompere la cera e permettere al colorante di entrare nelle crepe.
I sarong di Batik sono sottoposti di solito a due bagni nella cera e nel colorante e si possono produrre parecchi colori con sovraposizioni di tinte.
Per i disegni più complicati ci vogliono più tempo e maggior perizia ed il prezzo di una pezza di batik dipende non dalla bellezza del disegno quanto dal numero di bagni di cera e di colorante che sono stati necessari per produrla.
Il continuo aumento della richiesta ha incrementato la fabbricazione meccanizzata del Batik. I disegni sono ancora eseguiti col tjanting e con il tjap, ma la tintura, il lavaggio, l'essicamento sono resi più rapidi da machinari e i coloranti rimpiazzati da prodoti chimici che assicurano colori indellebili.
In questi ultimi anni la tecnica ha subito un'ulteriore evoluzione: molti artisti dell'Asia hanno fatto del Batik un mezzo di espressione e le loro opere sono ricercate da appassionati collezionisti di tutto il mondo.
Dina Moscato è una delle più alte espressioni di batik italiano, questo è il suo sito
https://www.dinamoscato.com/MENU/menu.htm
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