Un tempo note solo agli indiani d'america, sono state recentemente riscoperte le piante degli apaches per ricavarne i prodotti più svariati, dalle sostanze alimentari agli olii combustibili per le automobili.
Lo jojoba un'arbusto che cresce spontaneo nelle terre degli apaches e i cui semi in passato venivano torrefatti dagli indiani per ricavarne una specie di caffè o il cui olio era usato anche come cosmetico per capelli.
Finora le proprietà dello jojoba erano note soltanto agli indiani; ma fra non molto, e non solo nel territorio del nord america, ma anche in aree assai lontane, da questa pianta si potranno ottenere i prodotti più svariati, come cere per pavimenti, sostanze per ammorbidire il cuoio, idratanti per la pelle ed altri prodotti sostitutivi dei derivati del petrolio.
L'Agip petroli ha avviato in Sardegna, in collaborazione con una cooperativa locale, la coltivazione a jojoba di dieci ettari di terreno la cui resa potrà essere valutata solo in cinque anni, dato che la pianta non produce semi prima di questo periodo.
Ma già da qualche tempo l'Agip ha condotto ricerche finalizzate all'impiego di estratti della pianta nella fabbricazione di oli lubrificanti e di addittivi per il motore.
Lo jojoba è solo una delle decine di piante coltivate dagli indiani d'america ed anncora oggi esistenti negli Stati Uniti, pur non essendo più nè curate nè apprezzate come una volta.
In realtà alcune di queste piante, benchè originarie del Nord America, cominciarono abbastanza presto a far capolino in Europa.
E' il caso della castagna o pera di terra, un tubero che già due secoli dopo cresceva nel mantovano, dove era consumato dai suini e dai cristiani.
La sua coltivazione venne giudicata meno economica a quella della sua cugina la patata, che relegò la pera al ruolo di pianta ornamentale per i suoi bei fiori violacei.
Dalla California al Texas, agricoltori non indiani hanno piantato a jojoba più di 20.000 ettari. La coltura non si è ancora rivelata del tutto soddisfacente sul piano commerciale, ma gli scienziati sono molto ottimisti sul lato industriale.
Nella riserva indiana dei Papago sono state fatte ricerche su di un'altra pianta del deserto, il tepary, una specie di fagiolo.
Questo fagiolo indiano è una delle piante alimentari che meglio si adatta alla sicità ed al caldo, ed è simile, per sapore e metodo di preparazione, ai comuni fagioli secchi.
I semi contengono la stessa quantità d proteine, se non di più, della maggior parte dei fagioli comuni, e la resa è straordinaria.
Dopo un'acquazzone, le piante di tepary producono una grande quantità di fagioli prima che il suolo del deserto abbia il tempo di seccarsi.
La castagna o pera di terra, che da noi è relegata a pianta ornamentale, non hanno un'aria appetitosa, una volta bollite in acqua salata e schiacciate con burro, sono una prelibatezza e molto nutrienti, molto più che le patate ed altri tuberi di largo consumo.
Un'altra pianta coltivata dagli indiani era il cosidetto amaranto degli Atzechi, i cui semi erano molto amati da Montezuma II.
Questa pianta ha un fusto non superiore ad un metro d'altezza, bisognoso di poche cure, produce grosse capsule pesanti da tre a quattro chili che contengono fino a mezzo milione di semi.
Un buon piatto americano è foglie fritte di amaranto con salsa di amaranto, che hanno un sapore simile agli spinaci.
I semi che scaldati scoppiano e si aprono come i pop-corn, di cui hanno anche il sapore.
Ricca di aminoacidi, vitamine e sostanze minerali, di cui sono spovvisti i cereali, i semi sono usati sia per la prima colazione sia per produrre farina.
Gli indiani hanno utilizzato queste risorse alimentari molto tempo fa, imparando a servirsi di molte delle 15.000 piante spontanee del Nord America, da cui traevano cibo, indumenti, materie prime.
Gli scienziati che studiano la storia indigena del continente per ritrovarne il sapore perduto, stanno gettando le basi per un futuro più verde.
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